Mettici una nota!

 

Partecipa alla raccolta fondi per la realizzazione del Concorso per la composizione di un brano musicale per coro e orchestra che racconti la sofferenza e il dramma che attraversano il nostro Mediterraneo.
Trasformiamo il nastro bianco dell’ orrore, dell’indifferenza e dell’ odio in un canto di speranza!
ARPI – UNICREDIT – IBAN: IT 10 W 02008 05121 000105041741
Grazie!

Lettera aperta

Requiem per le genti del Mediterraneo

Concorso per compositori

 

 

Per rompere il silenzio e unire in un amorevole abbraccio il dolore su ogni sponda del Mediterraneo

E perché  Ayham al-Ahmed non suoni mai più da solo,

per le vittime del Bataclan, di Nizza e dei mercatini di Natale di Berlino,
 per il gendarme eroe, Arnaud Beltrame,
 per i bambini di Goutha
 e per tutti i bimbi in valigia
e per tutti noi costruttori di Pace e che abbiamo speranza

 

 

Tutto nasce nel 2016, ma nel tempo e ancora oggi il dolore e l’orrore hanno assunto anche altre forme nei Campi di Raccolta in Libia, sotto le bombe in Siria e nei tanti percorsi della speranza che attraversano l’Africa.

Roma, aprile 2016

Sono di queste ultime ore le drammatiche notizie relative alla morte di oltre settecento migranti nel mare tra l’Africa e l’Italia.

Di nuovo mi trovo di fronte a queste pagine, scritte, cancellate e riscritte tante volte.

Sento muoversi e inabissarsi dentro di me un dolore indicibile. Adesso ho la necessità di farne qualcosa.

Ricomincio di nuovo,  da qui.

Dall’immagine straziante di queste giovani vite, donne bambini uomini, in cerca della vita, di una vita umanamente accettabile, sicura e,credo, gentile; vite scomparse tra i flutti, inghiottite dalle onde di un Mediterraneo che appare invernale, diabolico, oscuro, affamato e turbolento.

Dall’immagine di questi giovani corpi, stipati in una stiva: uomini, donne e bambini che hanno lottato, tentato fino all’ultimo respiro di salvarsi e di salvare chi era loro accanto e che hanno dovuto cedere, lasciarsi andare, consentire di essere trascinati sul fondo, fino in fondo all’inferno senza vita delle gelide profondità di questo “Mare nostrum”.

Incomincio dal mio amore per il mare, per il mare del Sud, il Mediterraneo, con i suoi colori, con i suoi sapori, con la sua energia, i suoi riti ed i miti fondativi, e dal turbamento che mi assale ogni volta che oggi sono dinanzi alle sue acque e le tocco, le sfioro, mi ci immergo.

Dentro al respiro potente che vedo, dentro al tocco di velluto che bagna i miei piedi, dentro quel turchese immagino i volti sconosciuti, immagino le grida, il pianto, il terrore, l’orrore, l’angoscia.

Sono di fronte ad un cimitero.

Qui si fa commercio di uomini.

Se mi immergo in queste acque e in queste immaginazioni sono messa in contatto, sono dentro, nuoto tra i sogni di chi vi ha perso la vita. Mi compongo e confondo con le loro voci, le loro lingue, i loro affetti, i loro ricordi, le loro speranze, la loro casa, la loro terra, i loro cuori.

Immagino, oltre il mare, sulla costa o nel cuore dell’Africa e della Siria, da qualche parte di questo Sud del mondo dolente qualcuno che come me è straziato, più straziato di fronte a questa carneficina, a questo orrore, a questo scempio di giovani vite, all’Olocausto che si sta consumando giorno dopo giorno in questa mercificazione della vita e dell’uomo. Questo nostro è davvero un tempo difficile.

Mi chiedo come potrò narrarlo, cosa potrò dire in mia difesa a miei figli, a chi mi chiederà : “ C’eri e cosa hai fatto?”.

Lo sgomento, la tristezza, la rabbia che avverto, stando di fronte a questo mare, di nuovo riemergono e hanno un respiro potente. Emozioni violente che meritano pensieri. Mi impongono, si impongono come fatti, accadimenti, punte di coltello sulla carne che segnano, rigano, disegnano la pelle determinando una priorità: chiedono un contenimento, sollecitano una dicibilità, un’elaborazione e dunque un gesto.

Guardo i miei figli, gli amici, i cari e ho paura  ed insieme voglio incontrare lo stesso sgomento piuttosto che un’indifferenza raggelante e disumana.

Cercare le parole per dire, i luoghi in cui dire, un movimento da realizzare, insieme. Cercare momenti di incontro, confronto, sostegno per poter restare di fronte all’orrore senza cedere, né precipitare,  né voltarsi indifferenti.

Sento il ruggito del mare, sento il suo respiro corto, sento il suo pulsare angoscioso.

Vedo qualcun altro dall’altra parte che piange, muto e solo.

Ascolto la disperazione e la colpa di chi si è salvato e non ha potuto salvare.

Non posso più stare in silenzio di fronte a tutto questo.

Ho bisogno di un rito, di un luogo, di un movimento collettivo che mi sostenga ad elaborare ciò che è inaccettabile ed a sollecitare, a catalizzare le risorse possibili affinché tutto questo cessi, muti, si estingua.

Ho bisogno di condividere, di abbracciare e di avvicinare chi si è salvato, chi, disperato, dall’altra parte del mare sa che non incontrerà mai più suo figlio, sua figlia, suo marito, suo nipote perché questo mare insensibile e insaziabile li ha ingoiati e li trattiene sul fondo. Ho bisogno di salutare tutti quelli che sono senza nome, senza identità eppure donne ed uomini come me.Ho bisogno di ringraziare tutti coloro che, con coraggio indescrivibile, offrono la mano  e salvano, si calano in quelle orrifiche profondità e sfidano il ruggito del mare. Ho bisogno di sapere che c’è speranza, che c’è una possibilità di cambiamento. Ho bisogno di far espandere il senso profondo della mia umanità perché la pietas prenda nuova forma e possa giungere a lambire ed a toccare soprattutto il cuore feroce di chi fa merce di queste vite e le conduce al mattatoio come ignari agnelli per trarne lurido profitto. Per parlare ai politici di buona volontà affinché mettano le loro risorse mentali, pratiche, legislative ed economiche al servizio di un progetto che ci consenta, presto, di voltar pagina e di abitare un mondo di uomini, di nuovo.

Un rito collettivo come luogo collettivo in cui celebrare le morti e celebrare la vita, in cui pensare come poter pesare sulle decisioni di chi potrebbe incominciare a progettare interventi e movimenti tali da diluire fino ad interrompere questo silente e pulito massacro, che le acque del Mediterraneo trasparente nascondono e celano, ma che può essere  evocato nella sua penombra, nel nero delle sue profondità, nel gelo delle sue acque.

Con questa lettera aperta e questo progetto chiedo aiuto, chiedo una mano per poter contenere la sofferenza, lo sgomento ed il senso di impotenza di tanti.

Con questa lettera formulo la proposta che posso articolare, una proposta semplice, agli amici, a coloro che con me condividono da anni la passione per la musica ed il canto corale ed ai colleghi di lavoro, al gruppo di psicoterapeuti che con me collaborano a molti progetti sociali ed a chi vorrà unirsi a noi.

Per l’ARPI,

Rita Inglese